lunedì 21 luglio 2014

Appello all'Europa


Ai membri del Parlamento Europeo
Ai Commissari dell'unione Europea


Come si vuole che sia sentita l'Europa?

Ci rivolgiamo con la presente alle Massime Autorità Europee, per denunciare una situazione che nel nostro Paese è diventata insostenibile, e mina alla base il senso di appartenenza all'Europa.

I nostri Governi che si sono succeduti negli ultimi tempi, hanno sempre più provocato il degrado del mondo della cultura, della ricerca, e dell'istruzione in Italia.

In questo periodo, ormai lungo, di crisi economica, l'Europa è stata sistematicamente evocata dai nostri politici a giustificazione di scelte draconiane, di nuove tasse, di restrizioni di ogni tipo al welfare. Noi saremmo buoni, ma non abbiamo scelta: “ce lo chiede l'Europa”. A fronte di ciò, è socialmente fisiologico che si formino, e prosperino, movimenti xenofobi, entieuropeisti ed etnocentrici; specie, come emerge chiaramente da una attenta analisi dell'ultimo voto europeo, prendendo in considerazione il livello di istruzione dei votanti, nelle frange meno acculturate della popolazione.

Ma l'Europa ci dice anche che siamo il Paese con la percentuale minima di laureati; il Paese che spende meno, in proporzione al PIL, per l'istruzione; il Paese che più trascura uno dei più ingenti patrimoni culturali del mondo.

Il blocco del turn over, ormai storico, impedisce il ricambio generazionale nel mondo della docenza, e, quel che è peggio, interrompe la catena della trasmissione del sapere. Il sistema della docenza si basa ormai sul precariato e sullo sfruttamento dei giovani; per i quali battiamo ogni record di disoccupazione e di sotto-occupazione.

Molti nostri politici fanno proclami che pongono l'istruzione al centro della ripresa e dei loro obiettivi; ma mentono spudoratamente, e smantellano, distruggono, attaccano nei fatti, con assiduità e costanza, il mondo della cultura. L'università è un sistema allo sfascio, sempre più sottofinanziato e sottodimensionato rispetto ai bisogni reali del Paese, alla sua storia, alla sua vocazione intrinseca, alle sue intime radici. Troppo lungo sarebbe mettere qui in risalto i guasti, dall'aumento esponenziale di pratiche burocratiche assillanti, all'adozione di un sistema di misurazione del merito tragicomico, al protervo dirigismo dei provvedimenti, entro i quali una ristretta casta di persone, che storicamente, per qualche ragione, quasi mai per meriti scientifici, si trova ora in una situazione di privilegio, spadroneggia in un sistema impermeabile alla ragione e alle esigenze della ricerca e della cultura.

L'Europa ci dice che abbiamo un debito pubblico elevato? Bene, ascoltiamo l'Europa! L'Europa ci dice anche, però, che abbiamo il minor numero di laureati del continente. Bene, ma questo possiamo tranquillamente ignorarlo. Ecco il paradosso, ed ecco perché ci rivolgiamo a Voi, Massime Autorità Europee: volete che anche la comunità scientifica, che il mondo della scuola, il mondo dei giovani scienziati cominci a propendere verso le ragioni centrifughe, localistiche, anti-europee? Perché se l'Europa in questo caso tace, allora anche dalla comunità scientifica è sentita come chi sia tuo socio ed amico quando c'è profitto, e ti ignori quando c'è perdita.

Malgrado l'Europa ci dica che siamo il Paese con il minor numero di laureati, uno dei massimi esponenti del nostro Ministero dell'Istruzione, nel confermare l'adozione del numero chiuso, che ostacola ovviamente in modo pesante l'accesso dei giovali all'istruzione superiore, ha recentemente sostenuto che:

“di fatto non è possibile rispondere alle esigenze di oltre 80 mila aspiranti studenti universitari, non si può immaginare una crescita di spesa pubblica per soddisfare il fabbisogno della popolazione giovanile a cui consentire l’accesso all’università pubblica”.

L'Europa, questa grande, storica realtà, che si vanta della sua plurimillenaria “cultural heritage”, quella stessa Europa che ha tanto da chiedere al poveraccio che si vede ogni giorno decurtare lo stipendio in nome della sacertà dei conti, non ha nulla da chiedere a questo signore, che non molto tempo fa, in qualità di rettore, tuonava contro il numero chiuso? O l'ubi consistam dell'Europa si risolve nel compito dell'esattoria ragionieristica?

Sia ben chiaro: la nostra intenzione non è quella di chiedere finanziamenti, malgrado i livelli italiani sfiorino ormai il ridicolo: lo 0,7% del PIL per la ricerca, un terzo della media europea. Al di là di questo nodo, che l'Italia sarebbe bene in grado di risolvere da sé, sol che volesse, ci sono molte soluzion, pronte da tempo fin nei dettagli, che la comunità scientifica condivide, e che non inciderebbero sugli aspetti economici, o avrebbero effetti marginali. Si prenda ad esempio l'adozione del Ruolo Unico della docenza universitaria, che spazzzerebbe di colpo il malaffare delle baronie accademiche: praticamente tutte le organizzazioni dei docenti lo vanno chiedendo da tempo; in poco tempo, riproponendo la vexata questio, abbiamo contato più di 1.700 adesioni, che Vi alleghiamo. Ma questo non è il nodo, vuole essere solo un esempio. Il messeggio di sostanza è: se vogliamo fare anche gli Europei, e non solo l'Europa, dall'istruzione, dalla scuola, dall'incremento e dalla condivisione della ricerca bisogna cominciare.

Perché l'Europa, così attenta valutatrice delle cose italiane in campo economico, in questo non ha  niente da dire?

Angelo D'AMBRISI Università di Firenze
Andrea ABATE Università di Salerno
Emma BUONDONNO Università Federico II
Adriana BRANCACCIO II Università di Napoli
Petronia CARILLO II Università di Napoli
Armando CARRAVETTA Università Federico II
Calogero Massimo CAMMALLERI  Università di Palermo
Marco COSENTINO Università dell'Insubria
Brunello MANTELLI Università della Calabria
Maurizio MATTEUZZI Università di Bologna
Valeria MILITELLO Università di Palermo
Enrico NAPOLI Università di Palermo
Ugo OLIVIERI Università Federico II
Giorgio PASTORE Università di Trieste
Delia PICONE Università Federico II
Sergio BRASINI Università di Bologna
Giorgio TASSINARI Università di Bologna
 

giovedì 17 luglio 2014

Così si spegne l'Europa delle lampadine

di Armando Carravetta
Università degli Studi di Napoli Federico II

Ci sono aspetti della vita quotidiana nei quali noi italiani, anche quelli del profondo sud, sentiamo di essere europei. Le automobili più eco compatibili, ad esempio, sono euro 5, o euro 6. Guai ad avere una macchina Euro 4 che non può circolare nelle grandi città. Per gli elettrodomestici ci siamo abituati alle targhette colorate che individuano subito le classi di consumo. Persino sulle lampadine insistono le stesse etichette e passiamo a tecnologie sempre nuove, neon, led e chissa' quant'altro.

C'è però un campo dell'illuminazione in cui non vogliamo proprio cimentarci ed è la cultura, vero faro della civiltà e del progresso socio economico. Per la verità qui il richiamo dell'Europa e' meno stringente. Non si parla di direttive o regolamenti, ma di politiche comunitarie. Quasi a lasciare intendere che si lascia ciascun paese libero, su alcune materie, di agire motu proprio, mentre su altre, vedi il rapporto debito pil, i vincoli sono così stringenti da strozzare. Ciononostante l'Europa non ci vorrebbe ignoranti. Vorrebbe aumentare il numero dei laureati, favorire l'integrazione già durante la laurea, sviluppare ricercatori e docenti di qualità.


Eppure i governanti italiani hanno deciso di usare proprio scuola, università e ricerca come un porcellino da cui rubare quel che manca per ogni occorrenza, ieri un po' di cassa integrazione, oggi gli 80 Euro promessi alle famiglie, domani chissà. Strano modo di fare quello di promettere 80 Euro alle famiglie e costringere le università ad aumentare le tasse di 100 o magari 200 Euro, come se quei soldi non uscissero da quelle stesse famiglie.
 

Nel frattempo scuola, università e centri di ricerca vivono una lenta agonia, fatta di taglio di sezioni e corsi di laurea, numeri chiusi, inutili riorganizzazioni per fantomatiche riduzioni dei costi, ipertrofia amministrativa causata dal controllo ossessivo della spesa corrente. E così in Italia stiamo crescendo giovani dotati di nuovi cervelli a risparmio energetico, in quanto del tutto incapaci di pensare come i loro coetanei europei. Triste primato di cui andare fieri!

venerdì 11 luglio 2014

Petizione per il Ruolo Unico

CoNPAss invita a firmare questa petizione al Presidente del Consiglio e al Ministro della Pubblica Istruzione perché la proposta d'istituzione del ruolo del docente unico a valutazione periodica (RuDUV) sia attuata come una delle prime riforme proposte dal governo:

http://chn.ge/PQt4Jq

Si tratta di una riedizione della proposta CoNPAss che ancora NON risolve i nodi del reclutamento, della valutaziuone e della progressione stipendiale, che tuttora sono oggetto di discussione nel direttivo CoNPAss. Riteniamo tuttavia che non ci si possa esaurire unicamente in un dibattito interno che rischia di diventare unicamente "accademico" nel senso deteriore del termine.

Precisamente come il documento R29A sul Ruolo Unico, questa petizione intende avere valore prima di tutto politico, riproponendo i temi del Ruolo Unico come soluzione per invertire il processo di crisi nel quale l'università è sprofondata, ponendo al centro del sistema universitario la persona e le sue reali capacità e eliminando le barriere precostituite tra le fasce di docenza e tra i professori e i ricercatori.

Con questo spirito, siete tutti invitati a sottoscrivere e a diffondere la petizione: http://chn.ge/PQt4Jq