venerdì 24 luglio 2015

Lettera aperta all'ANVUR sulla VQR

Il Direttivo di CoNPAss - Coordinamento Nazionale dei Professori Associati delle Università Italiane - condivide i contenuti della lettera aperta indirizzata a ANVUR sulla nuova VQR da parte dei Colleghi Marco Valente (L'Aquila), Paolo Pini (Ferrara) e Marcella Corsi (Roma 1), nella quale vengono identificati i seguenti punti critici:

1) Definizione, senza alcuna apparente motivazione operativa, del Bando VQR da parte di un Consiglio Direttivo temporaneamente composto da solo 3 dei 7 membri previsti nonostante la nomina imminente dei 4 consiglieri mancanti.

2) Raffinamento della classificazione per i prodotti di più alto livello e aumento della tolleranza per i prodotti peggiori, mancanti e frodi.
 

3) Impossibilità del confronto con la precedente VQR a causa delle modifiche apportate.
 

4) Impossibilità di calcolo di alcuni indicatori.
 

5) Indicatori basati su somme di valutazioni individuali, favorendo inspiegabilmente le grandi strutture ed i grandi enti.
 

6) Mancanza di logica nei criteri distributivi della quota premiale del FFO.
 

7) Immotivata ed ingannevole definizione di graduatorie.
 

8) Errori materiali presenti nel testo.

CoNPAss sollecita di conseguenza ANVUR a tenere conto dei rilievi formulati, in ottemperanza al dettato ministeriale.

Il testo integrale della lettera (link al .pdf).

lunedì 13 luglio 2015

Comunicato del Direttivo di CoNPAss sul rinnovo del Consiglio direttivo dell'ANVUR

Il Direttivo di CoNPAss - Coordinamento Nazionale dei Professori Associati delle Università Italiane - manifesta viva preoccupazione per la mancata pubblicazione, a oltre tre settimane dalla conclusione dei lavori del Comitato di Selezione, della lista completa dei nominativi selezionati per il rinnovo del Consiglio direttivo dell'ANVUR (lista di cui il Ministro è in possesso dallo scorso 24 Giugno).

A tal proposito, CoNPAss auspica che i nominativi siano resi pubblici quanto prima, sia per garantire trasparenza al processo nel suo complesso che per consentire una adeguata valutazione in vista di una rapida integrazione del Consiglio Direttivo, a supporto della sua autorevolezza e credibilità, oggi ampiamente in dscussione.


CoNPAss in ogni caso auspica che i componenti scelti siano portatori di un'idea di università che punti alla tutela, alla promozione e allo sviluppo del sistema universitario pubblico di tutte le sue articolazioni, abbandonando scellerate visioni, di cui anche il vecchio Consiglio direttivo si era fatto interprete, che ad esempio puntano a deleterie distinzioni tra università "d'insegnamento" e "di ricerca".

martedì 24 marzo 2015

Per una riforma dello stato giuridico della docenza universitaria: Il ruolo del docente unico a valutazione periodica


Per una riforma dello stato giuridico della docenza universitaria:
Il ruolo del docente unico a valutazione periodica
Calogero Massimo CAMMALLERI (Università di Palermo), Andrea ABATE (Università di Salerno), Emma BUONDONNO (Università Federico II), Adriana BRANCACCIO (II Università di Napoli), Petronia CARILLO (II Università di Napoli), Armando CARRAVETTA (Università Federico II), Marco COSENTINO (Università dell'Insubria), Brunello MANTELLI (Università della Calabria), Maurizio MATTEUZZI (Università di Bologna), Valeria MILITELLO (Università di Palermo), Enrico NAPOLI (Università di Palermo), Ugo OLIVIERI (Università Federico II), Giorgio PASTORE (Università di Trieste), Delia PICONE (Università Federico II), Sergio BRASINI (Università di Bologna), Giorgio TASSINARI (Università di Bologna)[1]


Perché il ruolo unico
C'è chi dice che il ruolo unico della docenza universitaria c'è già: professori ordinari e associati sono solo due fasce di un unico ruolo. Alla lettera della normativa vigente è vero[2]. Ma è difficile spiegare a colleghi stranieri come mai un unico ruolo preveda così tante differenze di diritti a parità di doveri. Ultimamente, di là di motivazioni di principio, sta aumentando l'interesse da più parti, in ambito accademico, ma anche politico[3],[4], per discutere e studiare possibili implementazioni operative di un vero ruolo unico della docenza universitaria, e questo semplicemente per ragioni di efficienza del sistema e anche di adeguamento alle condizioni di emergenza in cui si trova l'Università.
Prima di tutto qualche numero riguardante la composizione del corpo accademico (professori e ricercatori, di qui in avanti semplicemente docenti). Essa si è assottigliata sempre più negli ultimi anni con un sensibile invecchiamento del corpo docente.
Secondo l'ufficio statistica del MIUR[5] – dati riferibili ai 66 atenei statali e ai 25 non statali – nel 2008 il corpo accademico era formato dal 62.768 docenti.
Di questi fino al 2013 ne sono stati perduti 9.322, pari al circa il 15% del totale, e ci siamo ridotti a 53.446.
Quello che è più allarmante è i pensionamenti del 2014 e del 2015 saranno di 781 che, con  proiezione al 2018, ascendono a 1.437; cioè perdiamo 10.000 docenti in un decennio, mille l'anno, 500 al semestre accademico.
Ancora più allarmante si rivelano i dati sulla composizione del corpo docente.
Al 2013 esso è composto da 13.890 ordinari (di cui solo 2935 donne). Di questi solo 23, di numero– meno del due per mille – sono infra quarantenni, e nessuna donna. Non va meglio se consideriamo la coorte fino ai 45enni, solo 419, meno del 3 per cento stavolta e solo 80 donne, né se la estendiamo fino ai cinquantenni: solo 1.835 (poco più dl 10%) di cui solo 338 donne.
Facendo una proiezione al 2018 sulla base dei dati del 2013, fino a quell'anno andranno in pensione 2.752 ordinari e non ci sarà nessun ordinario infra-quarantenne. Il corpo docente ultra sessantenne sarà di ben 18.800 docenti su 53.000, quello infra-cinquantenne sarà solo di 4.145 di cui solo 419 ordinari e solo 781 associati.

Non è perciò un'esagerazione affermare che siamo in presenza di una concreta emergenza.

Essa, tuttavia, non risiede nei numeri in sé considerati, quelli semmai possono indurre ad agire con urgenza: sarebbe a dire con provvedimenti contingenti o peggio – tanto per citare il libro Maurizio Matteuzzi a proposito dell'innominabile ministra – con riforme “epocali”, ammannite sotto varie egìde, dentro qualche tunnel di neutrini o dentro “i carceri” per fannulloni[6]

L'emergenza  crediamo vada invece aggredita alla radice,  eliminando le determinanti causali, che, se non rimosse, inevitabilmente  ridetermineranno nel futuro prossimo una nuova emergenza. E la causa strutturale di tale emergenza non risiede, a nostro avviso, né nel blocco delle assunzioni, né nei vari meccanismi concorsuali o selettivi o idoneativi o abilitativi, né nel centralismo o nel localismo del reclutamento e degli avanzamenti, tutti del resto già sperimentati nel corso dei lustri passati.

La causa è appunto strutturale, cioè è quella di un sistema che non ha saputo adeguare il proprio statuto ai tempi: e ciò in secula seculoroum. Il “sistema università” è ancora una riproduzione – abbastanza fedele – del sistema feudale che, com'è a tutti noto, è un sistema che più tecnicamente invera la “rete vassalla”.  Un sistema rigidamente gerarchico basato sulla fedeltà personale del vassus al suo signore, cioè colui che lo aveva “creato”. Questi gli concedeva la giurisdizione sul feudo attribuitogli e i conseguenti proventi derivanti dall'attività del restante 98% della popolazione: contadini liberi e dai servi della gleba, cioè ricercatori e precari. Il sistema feudale codifica che l'inferiore, a ogni livello, assuma obblighi e impegni solamente col suo immediato superiore, a cui deve il beneficio, come il … “barone creatore”. In assenza di questa semplice regola d'ordine e di ordinamento il sistema non si reggerebbe. E infatti sappiamo che nella società moderna è scomparso. Tranne che all'università tuttavia, dove ancor oggi ancora impera, vieppiù dopo gli interventi degli ultimi ministri. Gli interventi di “riforma”, sempre pubblicizzati sotto la réclame della lotta al baronato universitario, hanno invece incredibilmente rafforzato il “rapporto vassallatico-beneficiario”. Ne sono testimonianza diretta l'esclusione dei ricercatori e degli associati dalle commissioni di concorso[7], l'assoggettamento dell'Università all'ANVUR[8] (con toni e modi da un “campiere o soprastante”) e tramite essa al potere politico di turno, l'esautoramento del Senato Accademico nel governo degli atenei e così via. E non è stata un'eterogenesi dei fini. È stata un’apocalisse.

Che l'università sia organizzata in un sistema feudale o, con ossimoro beffardo, in una democrazia feudale, è testimoniato dall’organizzazione della componente docente del sistema: i suoi costituenti, cioè precari, ricercatori, professori associati, professori ordinari, pur svolgendo taluni di fatto (precari e ricercatori) tal altri di diritto (professori associati e professori ordinari), le stesse medesime indistinguibili funzioni basiche, cioè ricerca e insegnamento della loro ricerca, godono di un differente sostanziale regime giuridico, e ciò perfino laddove la legge sembri proclamarne l'unità: cioè nel caso dei professori di prima e di seconda fascia.
La differenziazione di stato giuridico tra soggetti che svolgono le medesime funzioni:
– da un lato è una distinzione artificiale: se nessuno avesse la casacca diversa nessuno se ne potrebbe accorgere osservando l'uomo al lavoro;
– da un altro è una distinzione artificiosa: serve per mantenere in vita quel corpo artificiale che altrimenti vita non avrebbe.
La differenziazione di stato giuridico si concreta empiricamente da un lato nel “monopolio della riproduzione” e da un altro nel “monopolio di governo”; monopoli, entrambi affidati a un manipolo di soli professori ordinari, i signori; gli unici soggetti che possono governare e “creare” i ricercatori e i professori della loro “rete vassalla”. Il sistema feudale è qui dunque perfettamente riprodotto: solo l'ordinario cioè il “superiore” beneficiario (della fedeltà) può legittimare l’“inferiore” (suo vassallo) e tale rapporto feudale dura a vita, (certo qualche anarchico ogni tanto scappa, ma basta isolarlo e non dargli troppo peso, ché tanto da sé stesso non si potrà riprodurre!) e si badi esso è sì forte che riproduce la relazione vassalla anche all'interno della cerchia dei professori ordinari. Sebbene con qualche attenuazione, la rete vassalla, attraverso il meccanismo non scritto del professore ordinario anziano e potente (quello che la vulgata non a caso appella barone) è il beneficiario della fedeltà di molti professori ordinari giovani. È così che il “barone” esercita la sua signoria nelle commissioni di concorso e nel governo dell'università. Tramite la sua rete, la sua la “politica” si riproduce e la somma di esse costituisce alla fine la politica universitaria.

Proviamo solo a riflettere su quanto un sistema di governo che si basa sul “rapporto vassallatico-beneficiario” sia ancora utile per l'università (ammesso che mai lo sia stato) oppure di quanto possa esserle oggi particolarmente dannoso, poiché oramai, com’è testimoniato dalle statistiche accennate, esso è perfino incapace di rigenerarsi. E questa incapacità del 2% della popolazione rischia di trascinare con sé tutto il restante 98%.

Dal punto di vista dell'efficienza del sistema, l'apartheid tra le fasce della docenza imbriglia le energie nuove e quelle più fresche e quelle più audaci, perché la ricerca di chi dipende, per la propria carriera, dal rispetto del patto non scritto – e per tale ragione maggiormente insidioso –  di “omaggio vassallatico-beneficiario” non può essere libera e indipendente. Un Paese senza libertà di ricerca e d’insegnamento della ricerca libera è anche un paese senza possibilità d’innovazione. Un paese senza innovazione è un Paese che muore. Ci si passi il brutto termine: occorre “defedaulizzare” l'Università e occorre farlo in fretta, molto in fretta; farlo prima di ogni altra riforma si voglia fare, anzi farlo come premessa necessaria a ogni rinnovamento.
E l'unico “vero” modo per farlo, come suggerisce il titolo più che appropriato, icastico, del convegno di Torino è “rivoluzionare” il sistema o – in altri e più chiari termini – passare dalla “rete vassalla” al “ruolo unico”, perché se no, mentre a Roma si discute dell'ennesima riforma sistemica l'Università, L'Università quella statale, libera, pubblica, sarà espugnata da quella privata, mercantile e – solo younghianamente –  “meritocratica”!

E il merito? Non viene calpestato ipso-facto da questa idea del ruolo unico? Ma che cultura del merito c'è in un sistema, come quello attuale, in cui il passaggio di fascia garantisce a vita una rendita di posizione, appena solo mitigata dal meccanismo delle mediane per le commissioni di concorso?  Paradossalmente, per chi considera la battaglia per il ruolo unico come l'anticamera della negazione del merito, agitando vieti spauracchi di appiattimento verso il basso, un ruolo unico in cui la progressione stipendiale e l'accesso alle cariche apicali siano costantemente vincolate alla valutazione positiva, non una tantum ma costante, diventa un vero e verificabile traguardo di implementazione della vera meritocrazia nei fatti e non negli slogan.



[1] I firmatari sono tutti componenti del Co.N.P.Ass. - Coordinamento Nazionale dei Professori Associati delle Università Italiane
[2] D.P.R. 11 luglio 1980, n. 38, art. 1 – “Il ruolo dei professori universitari comprende le seguenti fasce: a) professori straordinari e ordinari; b) professori associati.”
[3] “Il Ruolo Unico: una rivoluzione necessaria? Discussione nazionale nella prospettiva di una riforma dello stato giuridico della docenza universitaria”. Convegno, organizzato dalla Rete 29Aprile, 2 marzo 2015, Politecnico di Torino.
[4]  " Ruolo Unico della docenza: una via di fuga o una soluzione? Università di Università di Bari "Aldo Moro", 14 ottobre 2013.
[6] Matteuzzi M (2014) I neutrini, i carceri e le egìde. Cronaca di una riforma epocale. Aracne Ed. ISBN 978-88-548-6870-0
[7] Legge 30 dicembre 2010, n. 240, art. 16 comma 3 lettera f.
[8]  Legge 30 dicembre 2010, n. 240, art. 1 comma 4.

martedì 13 gennaio 2015

Lettera aperta ai candidati alle elezioni 2014 per il rinnovo del CUN


CoNPAss si riserva di esaminare i programmi e le dichiarazioni di intenti e di sostenere i candidati che, in continuità con il lavoro svolto dal CUN sino ad oggi, si impegnino a tutelare l'università pubblica libera e aperta, a promuovere ogni iniziativa utile a introdurre il ruolo unico nello stato giuridico della docenza, e a fare inoltre in modo che le mozioni CUN possano avere un seguito nelle sedi istituzionali ad ogni livello, non rimanendo lettera morta come troppo spesso è accaduto.

In particolare, CoNPAss sollecita i membri CUN ad adottare ogni iniziativa utile a esercitare pienamente le proprie prerogative di rappresentanza del sistema universitario nazionale, evitando che queste vengano di volta in volta surrettiziamente svolte da soggetti diversi e non rappresentativi, quali ad esempio CRUI e ANVUR.

CoNPAss garantisce sin d’ora il proprio sostegno e la propria collaborazione a tutti coloro che interpreteranno il proprio mandato di rappresentanza in accordo con questi principi.

domenica 9 novembre 2014

Trasparenza ANVUR - Riceviamo e pubblichiamo

Il Presidente dell'ANVUR Sergio Fantoni risponde a CoNPAss che, in un post pubblicato in questo blog lo scorso 27 ottobre, manifestava preoccupazione per alcune notizie di stampa riguardanti un componente ANVUR e chiedeva che fosse reso noto il tempo dedicato annualmente da ciascun  membro del Consiglio Direttivo alle attività  istituzionali dell'Agenzia.

Nella risposta, il Presidente Professor Fantoni precisa che, "sulla base di un impegno assunto in precedenza", l'attività di Sergio Benedetto - 20 ore complessive per un compenso lordo di 2.318 euro - era relativa "alle code di una precedente attività di valutazione". Tale affermazione sembra però contraddetta da ROARS, secondo cui la data di stipula del contratto (05/05/2011) risulta posteriore alla data di nomina del Consiglio direttivo dell’ANVUR.

CoNPAss, pur ringraziando il Presidente ANVUR per la sollecita nota di riscontro, si vede tuttavia costretto a rimarcare che la propria richiesta di conoscere quanto tempo sia stato dedicato annualmente da ciascun membro del Consiglio Direttivo ANVUR alle attività  istituzionali dell'Agenzia rimane ad oggi inevasa.


lunedì 27 ottobre 2014

L'ANVUR sia più trasparente

Il Coordinamento Nazionale dei Professori Associati (CoNPAss), giudica preoccupanti le notizie riportate dalla stampa relative alla vicenda Finpiemonte ed in particolare riguardanti il possibile coinvolgimento di un membro del Direttivo dell'Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Nazionale Universitario e della Ricerca (ANVUR).
 
Senza voler intervenire su una vicenda personale e di pertinenza  della Giustizia  e della Corte dei Conti, si osserva che un incarico di consulenza così pesante da comportare un compenso confrontabile con  quanto percepito  per l' attività nel consiglio direttivo dell' ANVUR sembrerebbe poco compatibile con un pieno impegno nelle attività  dell' Agenzia.
 
CoNPAss chiede quindi pubblicamente che il Presidente dell'ANVUR renda noto quanto tempo sia stato dedicato annualmente da ciascun  membro del Consiglio Direttivo alle attività  istituzionali dell'Agenzia.
 
Siamo certi che non sfuggirà all'attuale Direttivo l'importanza di un segno di trasparenza, analogo a quanto da decenni obbligo di legge di ogni docente universitario, soprattutto nell'approssimarsi della fine del primo mandato del Direttivo.

martedì 14 ottobre 2014

La riforma Gelmini. Il giorno dopo

Pubblichiamo questo intervento di Petronia Carillo (SUN e CoNPAss) presentato in occasione del 12° Congresso Nazionale della Società Italiana dei Chirurghi Universitari (SICU), Roma, 13-14 ottobre 2014. La Prof. Carillo è stata invitata dal Prof. Ludovico Docimo a presentare una lettura sulle conseguenze della L.240/2010. Questo Lettura si svolge nell’ambito della mobilitazione europea “Per la Scienza e la Cultura”.

Breve ed incompleto excursus sulla L. 240/2010 per descrivere i problemi devastanti dell’Università Statale italiana a partire dalla sua applicazione (1383 giorni fa).

Il mondo politico, negli ultimi anni, si è occupato costantemente di Università e Ricerca ma l’ effetto evidente è  stato un taglio massiccio del finanziamento statale, che è diminuito, in termini reali, di circa il 18% negli ultimi 5 anni (al netto dell’inflazione), corrispondenti ad oltre 1 miliardo di euro.
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